martedì, maggio 26, 2015

FUOCO ARDENTE NELLE OSSA




Geremia cap. 20. Un proprio tentativo di sviamento, accentua il riconoscimento e la necessità di non poter fare a meno di Dio. Geremia nella sua disperata situazione di profeta fu accusato di disfattismo dai militari e fu incarcerato. Che cosa è mai successo nella vita di questo grande profeta? Una crisi profonda da contestare Dio? No, poiché era in discussione il rapporto con Lui, ma lo erano le avversità che minacciarono la sua vita e lo posero di fronte alla morte. Proprio perché vide la morte vicina che bussava alla sua vita e non avendo altro che sperare, si staccò dal suo sentimento servizievole verso Dio, per volgersi alla considerazione del presente, tale che il suo essere si trasfuse nella realtà del raziocinio, ove la carne, annichilita dalla furia negativa delle circostanze, fu velata dal buio delle tenebre, e come un disperato che altro non vede, osò maledire senza ambiguità il giorno in cui fu nato. E’ stata, certamente, una circostanza estrema in cui l’uomo comune, avvolte ne è coinvolto e riconoscendo l’eccessivo fallo, dopo si pente come se fosse stato implicato per pronunciare bestemmia o fatto un peccato che poteva evitare. Per un profeta ciò, però, non è ammissibile, perché egli è il messaggero del comando di Dio. Tuttavia non mancano momenti in cui uomini di Dio, abbiano mostrato, in circostanze particolari, segni di cedimento che hanno mosso reazioni verso Dio. Un esempio già lo traviamo con lo stesso Mosè quando in Esodo 32:32 disse: ….ma ora, rimetti loro il lor peccato; se no, cancellami ora dal tuo Libro che tu hai scritto. Nel momento di estrema sopportazione la pazienza dell’uomo cede, ma a questo cedimento Dio non ha mai reagito con ferma punizione o rimprovero, perché conoscendo i limiti della sopportazione dell’uomo, ne viene in contro con effusione di amore e divino convincimento.     
Geremia 20:9  La onde io dissi: Io non lo menzionerò più, e non parlerò più nel suo Nome ma vi è stato nel mio cuore come un fuoco ardente, rinchiuso nelle mie ossa, e mi sono stancato per ritenerlo, e non ho potuto. Geremia si è lasciato trascinare dall’eccessivo dolore, mostrando la sua natura umana, non per nulla cattiva o odiosa, perché pur eccedendo nell’evidenziare l’avversità, valorizzava, indirettamente, la necessità dell’aiuto di Dio. Lui sapeva che quel grave e pesante pessimismo avrebbe smosso l’attenzione di Dio su di lui e che come ha fatto con Giobbe, a lui certamente lo avrebbe sovvenuto. Come la parola di Dio è ermetica nella sua esposizione e nella sua esegesi, questo fatto ha voluto imprimere ai posteri, che se dovessero arrivare a pronunciare frasi con profonda espressione di pessimismo rievocando il pentimento di essere nati, lo stesso Dio maneggerà la nostra debolezza e la trasformerà in gioia, perché solo Lui può fare questo, cambiare le circostanze negative in positive per il nostro benessere. Geremia è stato il propulsore del lamento per mezzo del quale l’uomo chiederà a Dio aiuto per essere liberato dalla posizione di disagio, nel quale sarà segnato il punto ineludibile di debolezza e di pentimento, ove lì l’uomo riconoscerà la potenza di Dio.  Questa maledizione del giorno in cui egli è nato non è rivolta a rinnegare la vita ma a elogiarla, perché essa, essendo breve, sente l’impossibilità di viverla in eterno. Conoscendone la brevità la vorrebbe gustarla bene e non essendo possibile perché il bene è effimero, la disprezza e la ripudia ma in fondo la ama e benedice Dio che l’ha posto sul sentiero dell’esistenza, che altro non è, che la proiezione dell’eternità sulla terra.  Geremia è l’unico profeta che valuta il percorso della vita e ne giudica l’effetto sul pensiero e sul carattere umano, egli è un sensitivo sulla variazione del bene sul male, e rifacendosi a Dio, prega per una facoltà maggiore di bene affinché lo ricordi come il viaggio di splendore sulla terra.
Pace e fede nel Signore


mercoledì, maggio 20, 2015

GIUSEPPE IN PRIGIONE




Tralasciando i fatti, che intercorrono prima di essere condotto in Egitto, cerchiamo di esaminare quanto la fede di Giuseppe verso Dio fosse solida. Sebbene nella sua tenera età già sentisse la presenza di Dio, attraverso l’interpretazione dei sogni, pur non mancò di discorarsi dalla fede.
Con un’attenta osservazione intravediamo alcune difformità della sua condotta nei riguardi di Dio, proprio quando avrebbe dovuto onorarlo di più. L’inizio della sua permanenza in Egitto, sembra essere piena di situazioni confuse e misteriose, perché essendo egli stato acquistato da Potifar, capo della guardia del faraone, come schiavo fu assunto, per meriti della sua intelligenza, come maggiordomo nella sua casa e anche perché l’alto ministro si accorse che tutto quello che faceva Giuseppe gli riusciva bene e che il Signore era con lui. Genesi 39:3  Il suo padrone vide che il SIGNORE era con lui e che il SIGNORE gli faceva prosperare nelle mani tutto ciò che intraprendeva. Se Potifar, si accorse che il Signore era con Giuseppe, dobbiamo affermare che gli Egiziani o gran parte di essi conoscevano Dio. Tralasciando i fatti che seguono, analizziamo il periodo in cui egli fu in prigione. In Genesi cap.40, narra i fatti in cui Giuseppe, nell’interpretare i sogni dei due personaggi, parla un linguaggio diverso da quello che usualmente pronunciava lodando Dio. Egli dice:  ……Non è forse Dio che ha in suo potere le interpretazioni? In questa frase si evidenzia una fede salda verso il Signore. Le cose cambiano, però, quando il coppiere sta per uscire dalla prigione, perché Giuseppe, dice: se quando sarai felice, ti vorrai ricordare che io sono stato con te, fammi questo favore, parla di me al faraone e fammi uscire da questa casa. Giuseppe non pone il suo avvenire a Dio, ma all’uomo. Per questo fatto sembra che Dio permetta che il coppiere si dimentichi di Giuseppe e che egli rimanga altri due anni in prigione. In questi due anni il giovane, riflette su come Dio non gli abbia concesso l’opportunità di essere liberato. Così, egli cresce spiritualmente e nella riflessione di ciò che abbia detto, egli matura e scopre che il suo parlare non corrispose alla volontà di Dio. Dopo che il tempo fu maturo, il Signore, fece che il coppiere si ricordasse di Giuseppe in relazione ad un sogno che aveva avuto il faraone.
Fu così, convocato nella corte e gli fu chiesto di interpretare il sogno del faraone. Qui, vediamo il giovane cresciuto, sia in età sia in fede, infatti, la prima cosa che dice: Genesi 41:16 Non io, ma Dio, darà la risposta per la salute del faraone. Ecco il giovane diventato maturo ha messo Dio in primo posto, affermando che non è più lui, ma è Dio che opera. Non solo, ma continua, al verso 41:25 ……..quello che Dio sta per fare lo ha indicato al faraone. Ed ancora ripete, nel verso 41: 28 …quanto Dio sta per fare, l’ha manifestato al faraone. E ancora al verso, 41:32 ..che la cosa è decisa da Dio, e che Dio si affretta a eseguirla.  Ecco che ora, Giuseppe è nel favore di Dio. Il Signore manda a Giuseppe per bocca del faraone, la conferma del suo favore, al verso 41:38 Potremmo trovare un uomo come questo in cui sia lo spirito di Dio? Così Dio lo alza al più alto rango dopo il faraone. Giuseppe non crede ai suoi occhi e alle sue orecchie. Dio è veramente grande e da quel momento egli lo riconosce e lo loda. Durante le pratiche dell’amministrazione fu fedelissimo servitore del Signore, tale che Dio fece avverare il sogno del sole, della luna e delle stelle. Come sappiamo tutta la sua famiglia e tutto il suo popolo, vennero ai suoi piedi. Sono stati ospitati in Egitto, con apprezzamenti e onori da parte del faraone, il quale pensò, che se Dio benedicesse Giuseppe, per certo lo avrebbe fatto anche all’Egitto.