Geremia cap. 20. Un proprio tentativo di sviamento, accentua il
riconoscimento e la necessità di non poter fare a meno di Dio. Geremia nella
sua disperata situazione di profeta fu accusato di disfattismo dai militari e
fu incarcerato. Che cosa è mai successo nella vita di questo grande profeta?
Una crisi profonda da contestare Dio? No, poiché era in discussione il rapporto
con Lui, ma lo erano le avversità che minacciarono la sua vita e lo posero di
fronte alla morte. Proprio perché vide la morte vicina che bussava alla sua
vita e non avendo altro che sperare, si staccò dal suo sentimento servizievole
verso Dio, per volgersi alla considerazione del presente, tale che il suo
essere si trasfuse nella realtà del raziocinio, ove la carne, annichilita dalla
furia negativa delle circostanze, fu velata dal buio delle tenebre, e come un
disperato che altro non vede, osò maledire senza ambiguità il giorno in cui fu
nato. E’ stata, certamente, una circostanza estrema in cui l’uomo comune,
avvolte ne è coinvolto e riconoscendo l’eccessivo fallo, dopo si pente come se
fosse stato implicato per pronunciare bestemmia o fatto un peccato che poteva
evitare. Per un profeta ciò, però, non è ammissibile, perché egli è il
messaggero del comando di Dio. Tuttavia non mancano momenti in cui uomini di
Dio, abbiano mostrato, in circostanze particolari, segni di cedimento che hanno
mosso reazioni verso Dio. Un esempio già lo traviamo con lo stesso Mosè quando
in Esodo 32:32 disse: ….ma ora, rimetti
loro il lor peccato; se no, cancellami ora dal tuo Libro che tu hai scritto. Nel
momento di estrema sopportazione la pazienza dell’uomo cede, ma a questo
cedimento Dio non ha mai reagito con ferma punizione o rimprovero, perché
conoscendo i limiti della sopportazione dell’uomo, ne viene in contro con
effusione di amore e divino convincimento.
Geremia 20:9 La onde io dissi: Io non lo menzionerò più, e non parlerò più nel suo
Nome ma vi è stato nel mio cuore come un fuoco ardente, rinchiuso nelle mie
ossa, e mi sono stancato per ritenerlo, e non ho potuto. Geremia si è
lasciato trascinare dall’eccessivo dolore, mostrando la sua natura umana, non
per nulla cattiva o odiosa, perché pur eccedendo nell’evidenziare l’avversità,
valorizzava, indirettamente, la necessità dell’aiuto di Dio. Lui sapeva che
quel grave e pesante pessimismo avrebbe smosso l’attenzione di Dio su di lui e
che come ha fatto con Giobbe, a lui certamente lo avrebbe sovvenuto. Come la
parola di Dio è ermetica nella sua esposizione e nella sua esegesi, questo
fatto ha voluto imprimere ai posteri, che se dovessero arrivare a pronunciare
frasi con profonda espressione di pessimismo rievocando il pentimento di essere
nati, lo stesso Dio maneggerà la nostra debolezza e la trasformerà in gioia,
perché solo Lui può fare questo, cambiare le circostanze negative in positive
per il nostro benessere. Geremia è stato il propulsore del lamento per mezzo
del quale l’uomo chiederà a Dio aiuto per essere liberato dalla posizione di
disagio, nel quale sarà segnato il punto ineludibile di debolezza e di
pentimento, ove lì l’uomo riconoscerà la potenza di Dio. Questa maledizione del giorno in cui egli è
nato non è rivolta a rinnegare la vita ma a elogiarla, perché essa, essendo
breve, sente l’impossibilità di viverla in eterno. Conoscendone la brevità la
vorrebbe gustarla bene e non essendo possibile perché il bene è effimero, la
disprezza e la ripudia ma in fondo la ama e benedice Dio che l’ha posto sul
sentiero dell’esistenza, che altro non è, che la proiezione dell’eternità sulla
terra. Geremia è l’unico profeta che valuta
il percorso della vita e ne giudica l’effetto sul pensiero e sul carattere
umano, egli è un sensitivo sulla variazione del bene sul male, e rifacendosi a
Dio, prega per una facoltà maggiore di bene affinché lo ricordi come il viaggio
di splendore sulla terra.
Pace
e fede nel Signore