Colossesi 2:9 Il lungo procedere della mente, nei
meandri dell’universo, coglie nella razionalità della prospettiva un vuoto che
apparentemente si presenta come un quadro nel quale non vi sia dipinta alcuna
cosa ma che nel concentrarsi sempre più si possono intravedere i filamenti
della sostanza che compongono la struttura. Guardando lo spazio vediamo una non
identificata consistenza che non è ben concepita dall’occhio umano e che dà la
sensazione di smarrimento, tale che, la mente ha bisogno di un appiglio di
realtà per poter leggere la sua composizione. È così nell’intendere il mistero
della persona di Dio, nella sua unicità scomponibile che conduce l’uomo a
considerare sé stesso di essere a sua somiglianza ma che non arriva a decifrare
la propria scomponibilità come Dio la prospetta per sé e per l’uomo nella sua
Parola. Tutto ha a che fare con il limite della realtà, ove non si possa
scrutare oltre, ma che nel tentativo di proiettarsi verso la visione
trascendentale si può identificare l’invisibile solo con la percezione. Nasce
così un dualismo di tendenza a identificare il divino se la ragione sia
bastevole oppure no a giustificare la presenza di Dio nell’universo. Nella
prima ipotesi ci si cimenta col pensiero a ordinare la concezione della realtà
di Dio partendo dalla base razionale, ove tale concetto, concepisce ogni cosa
secondo la comprensione della capacità di intendere le cose per mezzo della
ragione e quindi usa il razionalismo per leggere l’invisibile. Ciò crea un
disvalore nel giudizio quando ci si accorge che mancano gli strumenti per leggere
l’immateriale, essendo che, la capacità naturale non è sufficiente a scrutare l’ignoto,
per cui, la mente rimane aggrappata alle regole fisiche non concependo quelle
astratte di dimensione diversa. Questa cortina separa l’uomo dalla realtà di
Dio. Non per nulla, Dio apre i cieli, affinché si possa vedere la sua
dimensione. Ecco che, in questa posizione, l’uomo e la sua realtà divengono
accessibili all’invisibile in modo inspiegabile, senza che egli abbia usato la
ragione né i mezzi della realtà fisica. Si è discusso se la ragione sia
bastevole a scoprire la realtà divina e si è visto che non arriva a leggere l’essere
supremo se non è aiutata dalla sua volontà. Si discute il perché esista questa
cortina che pone l’uomo nella difficoltà di leggere il divino. La separazione
tra la materia e lo spirito non è casuale. Essendo che tutto dipende da una
origine incomprensibile, nella quale lo spirito viene in aiuto per mezzo della
percezione per attrarre l’uomo alla sensibilità divina rendendolo idoneo a
comprendere e avvolte anche di vedere il mistero divino, come Paolo che arrivò
fino al terzo cielo e osservò il mondo nascosto agli occhi umani. Da questo si
comprende come il divino sia in controllo della realtà materiale e senza
intervenire fisicamente la modifica solo adoperando la sua parola, potere
eccezionale che sbalordisce l’uomo e la sua ragione. La mancanza della
visibilità del mondo trascendentale crea, per conseguenza, un’attitudine inversa
alla percezione, che porta indirettamente a considerare la realtà come fonte
primaria, su cui l’uomo fonda la sua teoria universale. Ecco che nascono i
principi derivativi che surrogando il vero si concentrano definitivamente
alla teoria fisicamente osservabile. La visione, così, ristretta limita la
percezione dell’invisibile divino e crea una opposizione di pensiero che
annulla la visione dello spirito e il collegamento dell’uomo con esso. Nasce così il politeismo che esercita una
sperequazione dal credere in un unico Dio e man mano sposta l’intimo di ognuno
ad altre tradizioni e fanno creare dii a propria misura, che se danno un
immediato sollievo, altro non sono che appigli fantasiosi che creano
suggestione e auto istinto, per cui, pian si diventa preda del nulla. Non è
poca cosa che le tante credenze creano altrettanti seguaci, sviluppando più che
un ordine una eccezionale confusione, contradicendo a quello che è la vera santità
nel divino. La radicalizzazione può
diventare così coesa che la mente si chiude e si fortifica nel proprio mondo
irreale, pensando di essere associato al vero universale. L’effetto, per certi
aspetti, è simile all’ateismo, ove gli appartenenti che non credendo ad alcun
dio, si racchiudono in loro stessi divenendo, al loro dire, auto sufficienti ad
interpretare i misteri della vita. Anche loro restano isolati, pur essendo la
grazia a loro portata di mano. Concitati dalla materialità del bisogno di
sopravvivere, seguono il perpetuarsi delle cose di prima necessità e si
occupano per la loro conservazione che li protegge per l’esistenza. Dio diviene
secondario, essendo che non risponde né risolve i loro problemi quando li
richiedono. Vorrebbero un Dio a comando e se esistesse lo considererebbero
responsabile dei mali nel mondo. La deità viene assunta e non attribuita, vale
a dire, che l’ateo considera se steso dio essendo che tutte le forze della
natura sono concentrate nella mente dell’uomo contro l’ammissione di Dio unico e
Creatore che governa l’universo. La pienezza della deità sta al di fuori delle
componenti metafisiche e razionali e dipende solo da sé stessa, poiché, da essa
escono le componenti di percezione divina e li governa nel cuore dell’uomo, come
la fede e il credo anche se l’operosità
della vita distoglie l’uomo dalla fede e lo occupa tra il problema del male e
della relazione tra teismo ed etica, tra conflitti religiosi e politeismo. La
deità di Dio è la sola realtà che manifesta il potere del cambiamento alla
visione del vero che sta oltre cortina e vede ogni cosa sulla razionalità
dell’uomo e lo guida alla via verso la superiore dimensione dell’eterno
splendore e della santità che sono le uniche realtà esistenti universali e
inamovibili. Dio resta l’essere supremo e perfettissimo nella sua natura e nelle
sue opere. Si avverte tale potenza quando l’uomo si converte, poiché la
percezione diviene realtà di vita che muove lo spirito a colloquiare con Dio.
Pace e fede nel Signore