giovedì, ottobre 12, 2017

LA RAGIONE E LA FEDE



                La ragione è il termine che si usa in modo predominante in filosofia, ma che nel tempo e nella storia si è affermato come riferimento in una molteplicità di significati. Fra questi se ne possono distinguere due fondamentali: La ragione intesa in senso metafisico, come principio e fondamento della realtà e la ragione come facoltà del pensiero dell'uomo e guida della sua condotta etica. Entrambi questi significati si possono far risalire alla filosofia greca, nella quale ricorre il termine "logos" sia per designare la legge essenziale di tutta la realtà, sia per designare la capacità dell'uomo di ragionare e di discutere. In questa seconda accezione la ragione è intesa come dianoia, cioè come facoltà discorsiva ed è contrapposta all'intelletto (in greco, nous), ossia alla capacità di cogliere intuitivamente le verità basi da cui muove ogni ragionamento. Nella prima accezione, sul senso metafisico, la ragione come “logos” fa la sua apparizione nella filosofia di Eraclito e trova la sua espressione più conseguente nella filosofia degli stoici. Questi intendevano il logos come la legge che governa tutte le cose, ossia come l'ordine razionale della natura e del cosmo, seguendo il quale l'uomo conduce una vita giusta e felice. Questa concezione della ragione, nella cui evoluzione si trova a toccare diversi campi della logica, spesso si è trovata in contrasto col pensiero cristiano dei padri della Chiesa. Essa, torna anche nella filosofia moderna, in un contesto problematico molto diverso, esposto dal filosofo Hegel. Egli infatti concepisce la ragione (da lui denominata anche Idea e Spirito), come la legge immanente della realtà nel suo sviluppo naturale e nello svolgimento storico. Per Hegel, l’uomo viene identificato nella prospettiva del pensiero (ragione) e dell’essere (realtà) e pone la ragione, intesa anche come conoscenza dell'assoluto, al di sopra dell'intelletto, che consiste nella facoltà di determinare un concetto astratto nella conoscenza del particolare. Per Hegel la ragione, sia come fondamento della realtà sia come conoscenza della totalità del reale, procede secondo un ritmo di tipo dialettico, che, passando attraverso antitesi e contraddizioni, perviene a collegare nella sintesi i diversi momenti della realtà che l'intelletto coglie separatamente, in altre parole, per cui, la ragione in senso metafisico, fa la media della risultante di tutte le componenti delle ipotesi e delle realtà e ne trae la formula di vita. In riferimento alla ragione come facoltà umana, è celebre la definizione dell'uomo come "animale razionale" data dal filosofo greco Aristotele. Egli concepisce la ragione come la capacità di svolgere correttamente deduzioni di tipo sillogistico a partire da date premesse. Per questa sua funzione essa si distingue dall'intelletto, che è la capacità di cogliere i principi primi delle scienze in maniera intuitiva, senza avvalersi di passaggi discorsivi. In un diverso contesto problematico, sia i filosofi neoplatonici sia il pensatore cristiano S. Agostino, subordinano la ragione all'intelletto, proprio perché esso rimane una conoscenza discorsiva inferiore alla conoscenza puramente intuitiva del tempo.  Dio, secondo i filosofi cristiani, come ad esempio san Tommaso d'Aquino, conosce tutto intuitivamente, senza determinare le verità a una a una attraverso ragionamenti. Alcuni non sono d’accordo sulla parola intuitivamente. Si ritornerebbe, allora, al concetto che gli animali si atteggiano intuitivamente e questo carattere non può essere attribuito a Dio. Per questo, l’uomo, con tutta la sua scienza, dovrebbe essere capace di stabilire e ipotizzare come agire correttamente e ciò non l’ho è. Per esempio, come si fa ad affermare che Dio conosce intuitivamente tutte le cose? Per arrivare a questa conclusione di giudizio, il pensiero dell’uomo dovrebbe essere più di quello di Dio, poiché, solo un pensiero più grande può definire un pensiero più piccolo e noi non lo abbiamo. Allora, se vogliamo conoscere come pensa Dio, sarebbe più profittevole scoprire come pensa l’uomo. E fino a oggi non siamo stati capaci di scoprire i limiti del nostro pensiero né le sue capacità. Quando diciamo in fede, che Dio sa tutto, in realtà non concepiamo cosa sia il tutto e questa conclusione fa si che ci fa rinunciare la ricerca del vero, poiché, cercandolo verrebbe coinvolta la fede, la quale, ci porta a sviluppare una profonda sensibilità trascendentale che ci avvicinerebbe a Dio, senza mai raggiungere la sua conoscenza, essendo che non siamo capaci ne sensibili al sentimento spirituale della divinità, poiché, la ragione, essendo prodotta dalla nostra mente ci fa  intendere secondo la sua limitata natura. Quando diciamo che Dio sa tutto è perché ha fatto tutto, secondo la sua parola e il tutto oltre a essere nella sua conoscenza è anche sottomesso a Lui. Nulla gli può essere nascosto, poiché, ogni cellula e ogni elemento, esiste e si muove nell’universo, ubbidendo a Lui, come se fosse una persona. Questo concetto non può essere capito dalla mente umana né dalla sua ragione.  Quindi Dio non conosce le cose per intuito, ma per natura intrinseca essendo che li ha creati. Egli, avendo dato disposizioni a ogni elemento dell’universo di come comportarsi, cioè avendo imposto la sua legge, se dice al mare di aprirsi, esso ubbidisce perché Egli ha dettato un cambiamento strutturale. Questo diverso funzionamento non è altro che il seguire un’altra legge e ciò per noi è quello che chiamiamo, miracolo.  In riguardo al rapporto che vi è tra la ragione e la fede, si sono sempre presentate delle teorie diverse e contrastanti e si è cercato di far prevalere ora una ora l’altra virtù causando, spesso delle discordie in seno ai ragionamenti culturali dove la ragione è finita per prevalere in quei soggetti legati al realismo e poco alla dimensione trascendentale. Così si sono formati due fazioni di intendo e di tendenza culturale, quasi che l’una vorrebbe sopraffare l’altra. In effetti questi due virtù o sentimenti innati nell’uomo sono stati dati dal Creatore come possibilità di libero arbitrio per mezzo del quale possiamo avvicinarci all’uno o all’altro come vogliamo, come se avessimo ricevuto del denaro e a nostro compiacimento possiamo spenderlo come ci aggrada e possiamo farlo incrementare se osserviamo certi principi di economia. E appunto, parlando del denaro e considerando da vicino una moneta, in essa possiamo vedere che ha due facciate, ecco in una mettiamo la ragione e nell’altra mettiamo la fede. Le due virtù si trovano di segno opposto ma che fanno parte della stessa moneta. Ebbene se ci ricordiamo che Gesù disse: Date a Cesare ciò ch’è di Cesare e a Dio ciò ch’è di Dio. Possiamo entrare nel significato che la ragione non è da emarginarla né tanto meno di sottovalutarla, poiché è il mezzo che ci accompagna in tutte le difficoltà dello studio e del progresso, ma nemmeno la fede deve essere scartata ne sminuita, poiché, anch’essa è il mezzo della salvezza dell’uomo, essendo l’ancora che ci permette di fuoriuscire da questo mondo travagliato, portatore di morte per farci rafforzare la conoscenza della realtà di Dio.  Poiché, la vita si esplica sulla natura materiale che ci circonda, non avvertiamo quella spirituale che ci accompagna, ed è quindi facile, che quest’ultima non sia avvertita e finisce per contentarci solo della realtà immediata che vediamo e tocchiamo. E ben risaputo che non sentiamo tutti i suoni che si propagano, ma nemmeno tutte le cose che vediamo, non sono tutte. Quindi se la ragione ci porta a considerare tutto ciò che vediamo e che comprendiamo, allora, inconsapevolmente, stiamo eliminando una grossa fetta dell’esistenza che è intorno a noi. Ma la parte che non percepiamo non è facile ad accettarla, per cui la ragione, prendendo corpo nella nostra mente come elemento indispensabile di ragionamento, la facciamo diventare elemento essenziale, per conoscere Dio. Essa si troverà inadeguata a ragionare le cose dello spirito e sarebbe come il lottare di un soldato con una sola mano che si troverebbe in difficoltà e presto sarebbe sconfitto. La ragione, tuttavia, non è sconfitta da cedere le armi, ma si avvale delle leggi naturali e fisiche per potere contestare tutto ciò che non è assimilabile alla mente e alla ragione. Prende forza, così, la ragione come elemento insostituibile per misurare la capacità dell’intelletto, e tutto ciò che non è concepito in esso, non è accettato, quindi, può non esistere. Ma non sempre la ragione fa breccia nella mente, altri sviluppano pensieri che si stazionano all’altra faccia della moneta, mi riferisco alla fede e percepiscono dimensioni trascendentali che fanno concepire il preludio di un mondo sconosciuto ma che è reale come lo è la vita stessa di tutti i giorni. Ma per intraprendere questa esperienza, bisogna che la fede diventi un veicolo necessario per potere capire le dimensioni del divino. Quando si entra in questa dimensione ci si accorge che in fondo la ragione, altro non è che un veicolo limitato, con poca energia e quindi poca autonomia. La fede riesce a farci percepire l’infinito e la debolezza della capacità di intendere dell’uomo, mentre la grandezza e il mistero ci suggeriscono un Architetto che abbia in controllo ogni cosa e che tutto sia stato foggiato con la sua Parola.  Infatti, se l’uomo deve tagliare un pezzo di tavola egli ha bisogno di una sega e la forza che si trasforma in moto, ma Dio nel tagliare la tavola non ha bisogno della sega, Egli comanda agli elementi di separarsi nel punto da Lui voluto, e loro ascoltandolo come se fossero dei viventi, si separano e così la tavola è tagliata. Dio non agisce per intuito perché appena comanda gli elementi, gli ubbidiscono. Così, quando una neoplasia colpisce il corpo dell’uomo, Egli comanda gli elementi che compongono quel tumore, ed essi ascoltando come fa l’uomo.  Per noi, l’immediata guarigione è un miracolo, ma per Dio è un comportamento comune del suo agire.
Pace e fede nel Signore




                

martedì, settembre 05, 2017

LA PIENEZZA DELLA DEITA'




               Colossesi 2:9 Il lungo procedere della mente, nei meandri dell’universo, coglie nella razionalità della prospettiva un vuoto che apparentemente si presenta come un quadro nel quale non vi sia dipinta alcuna cosa ma che nel concentrarsi sempre più si possono intravedere i filamenti della sostanza che compongono la struttura. Guardando lo spazio vediamo una non identificata consistenza che non è ben concepita dall’occhio umano e che dà la sensazione di smarrimento, tale che, la mente ha bisogno di un appiglio di realtà per poter leggere la sua composizione. È così nell’intendere il mistero della persona di Dio, nella sua unicità scomponibile che conduce l’uomo a considerare sé stesso di essere a sua somiglianza ma che non arriva a decifrare la propria scomponibilità come Dio la prospetta per sé e per l’uomo nella sua Parola. Tutto ha a che fare con il limite della realtà, ove non si possa scrutare oltre, ma che nel tentativo di proiettarsi verso la visione trascendentale si può identificare l’invisibile solo con la percezione. Nasce così un dualismo di tendenza a identificare il divino se la ragione sia bastevole oppure no a giustificare la presenza di Dio nell’universo. Nella prima ipotesi ci si cimenta col pensiero a ordinare la concezione della realtà di Dio partendo dalla base razionale, ove tale concetto, concepisce ogni cosa secondo la comprensione della capacità di intendere le cose per mezzo della ragione e quindi usa il razionalismo per leggere l’invisibile. Ciò crea un disvalore nel giudizio quando ci si accorge che mancano gli strumenti per leggere l’immateriale, essendo che, la capacità naturale non è sufficiente a scrutare l’ignoto, per cui, la mente rimane aggrappata alle regole fisiche non concependo quelle astratte di dimensione diversa. Questa cortina separa l’uomo dalla realtà di Dio. Non per nulla, Dio apre i cieli, affinché si possa vedere la sua dimensione. Ecco che, in questa posizione, l’uomo e la sua realtà divengono accessibili all’invisibile in modo inspiegabile, senza che egli abbia usato la ragione né i mezzi della realtà fisica. Si è discusso se la ragione sia bastevole a scoprire la realtà divina e si è visto che non arriva a leggere l’essere supremo se non è aiutata dalla sua volontà. Si discute il perché esista questa cortina che pone l’uomo nella difficoltà di leggere il divino. La separazione tra la materia e lo spirito non è casuale. Essendo che tutto dipende da una origine incomprensibile, nella quale lo spirito viene in aiuto per mezzo della percezione per attrarre l’uomo alla sensibilità divina rendendolo idoneo a comprendere e avvolte anche di vedere il mistero divino, come Paolo che arrivò fino al terzo cielo e osservò il mondo nascosto agli occhi umani. Da questo si comprende come il divino sia in controllo della realtà materiale e senza intervenire fisicamente la modifica solo adoperando la sua parola, potere eccezionale che sbalordisce l’uomo e la sua ragione. La mancanza della visibilità del mondo trascendentale crea, per conseguenza, un’attitudine inversa alla percezione, che porta indirettamente a considerare la realtà come fonte primaria, su cui l’uomo fonda la sua teoria universale. Ecco che nascono i principi derivativi che surrogando il vero si concentrano definitivamente alla teoria fisicamente osservabile. La visione, così, ristretta limita la percezione dell’invisibile divino e crea una opposizione di pensiero che annulla la visione dello spirito e il collegamento dell’uomo con esso.  Nasce così il politeismo che esercita una sperequazione dal credere in un unico Dio e man mano sposta l’intimo di ognuno ad altre tradizioni e fanno creare dii a propria misura, che se danno un immediato sollievo, altro non sono che appigli fantasiosi che creano suggestione e auto istinto, per cui, pian si diventa preda del nulla. Non è poca cosa che le tante credenze creano altrettanti seguaci, sviluppando più che un ordine una eccezionale confusione, contradicendo a quello che è la vera santità nel divino.  La radicalizzazione può diventare così coesa che la mente si chiude e si fortifica nel proprio mondo irreale, pensando di essere associato al vero universale. L’effetto, per certi aspetti, è simile all’ateismo, ove gli appartenenti che non credendo ad alcun dio, si racchiudono in loro stessi divenendo, al loro dire, auto sufficienti ad interpretare i misteri della vita. Anche loro restano isolati, pur essendo la grazia a loro portata di mano. Concitati dalla materialità del bisogno di sopravvivere, seguono il perpetuarsi delle cose di prima necessità e si occupano per la loro conservazione che li protegge per l’esistenza. Dio diviene secondario, essendo che non risponde né risolve i loro problemi quando li richiedono. Vorrebbero un Dio a comando e se esistesse lo considererebbero responsabile dei mali nel mondo. La deità viene assunta e non attribuita, vale a dire, che l’ateo considera se steso dio essendo che tutte le forze della natura sono concentrate nella mente dell’uomo contro l’ammissione di Dio unico e Creatore che governa l’universo. La pienezza della deità sta al di fuori delle componenti metafisiche e razionali e dipende solo da sé stessa, poiché, da essa escono le componenti di percezione divina e li governa nel cuore dell’uomo, come la fede e il credo anche se l’operosità della vita distoglie l’uomo dalla fede e lo occupa tra il problema del male e della relazione tra teismo ed etica, tra conflitti religiosi e politeismo. La deità di Dio è la sola realtà che manifesta il potere del cambiamento alla visione del vero che sta oltre cortina e vede ogni cosa sulla razionalità dell’uomo e lo guida alla via verso la superiore dimensione dell’eterno splendore e della santità che sono le uniche realtà esistenti universali e inamovibili. Dio resta l’essere supremo e perfettissimo nella sua natura e nelle sue opere. Si avverte tale potenza quando l’uomo si converte, poiché la percezione diviene realtà di vita che muove lo spirito a colloquiare con Dio. 
Pace e fede nel Signore