martedì, settembre 05, 2017

LA PIENEZZA DELLA DEITA'




               Colossesi 2:9 Il lungo procedere della mente, nei meandri dell’universo, coglie nella razionalità della prospettiva un vuoto che apparentemente si presenta come un quadro nel quale non vi sia dipinta alcuna cosa ma che nel concentrarsi sempre più si possono intravedere i filamenti della sostanza che compongono la struttura. Guardando lo spazio vediamo una non identificata consistenza che non è ben concepita dall’occhio umano e che dà la sensazione di smarrimento, tale che, la mente ha bisogno di un appiglio di realtà per poter leggere la sua composizione. È così nell’intendere il mistero della persona di Dio, nella sua unicità scomponibile che conduce l’uomo a considerare sé stesso di essere a sua somiglianza ma che non arriva a decifrare la propria scomponibilità come Dio la prospetta per sé e per l’uomo nella sua Parola. Tutto ha a che fare con il limite della realtà, ove non si possa scrutare oltre, ma che nel tentativo di proiettarsi verso la visione trascendentale si può identificare l’invisibile solo con la percezione. Nasce così un dualismo di tendenza a identificare il divino se la ragione sia bastevole oppure no a giustificare la presenza di Dio nell’universo. Nella prima ipotesi ci si cimenta col pensiero a ordinare la concezione della realtà di Dio partendo dalla base razionale, ove tale concetto, concepisce ogni cosa secondo la comprensione della capacità di intendere le cose per mezzo della ragione e quindi usa il razionalismo per leggere l’invisibile. Ciò crea un disvalore nel giudizio quando ci si accorge che mancano gli strumenti per leggere l’immateriale, essendo che, la capacità naturale non è sufficiente a scrutare l’ignoto, per cui, la mente rimane aggrappata alle regole fisiche non concependo quelle astratte di dimensione diversa. Questa cortina separa l’uomo dalla realtà di Dio. Non per nulla, Dio apre i cieli, affinché si possa vedere la sua dimensione. Ecco che, in questa posizione, l’uomo e la sua realtà divengono accessibili all’invisibile in modo inspiegabile, senza che egli abbia usato la ragione né i mezzi della realtà fisica. Si è discusso se la ragione sia bastevole a scoprire la realtà divina e si è visto che non arriva a leggere l’essere supremo se non è aiutata dalla sua volontà. Si discute il perché esista questa cortina che pone l’uomo nella difficoltà di leggere il divino. La separazione tra la materia e lo spirito non è casuale. Essendo che tutto dipende da una origine incomprensibile, nella quale lo spirito viene in aiuto per mezzo della percezione per attrarre l’uomo alla sensibilità divina rendendolo idoneo a comprendere e avvolte anche di vedere il mistero divino, come Paolo che arrivò fino al terzo cielo e osservò il mondo nascosto agli occhi umani. Da questo si comprende come il divino sia in controllo della realtà materiale e senza intervenire fisicamente la modifica solo adoperando la sua parola, potere eccezionale che sbalordisce l’uomo e la sua ragione. La mancanza della visibilità del mondo trascendentale crea, per conseguenza, un’attitudine inversa alla percezione, che porta indirettamente a considerare la realtà come fonte primaria, su cui l’uomo fonda la sua teoria universale. Ecco che nascono i principi derivativi che surrogando il vero si concentrano definitivamente alla teoria fisicamente osservabile. La visione, così, ristretta limita la percezione dell’invisibile divino e crea una opposizione di pensiero che annulla la visione dello spirito e il collegamento dell’uomo con esso.  Nasce così il politeismo che esercita una sperequazione dal credere in un unico Dio e man mano sposta l’intimo di ognuno ad altre tradizioni e fanno creare dii a propria misura, che se danno un immediato sollievo, altro non sono che appigli fantasiosi che creano suggestione e auto istinto, per cui, pian si diventa preda del nulla. Non è poca cosa che le tante credenze creano altrettanti seguaci, sviluppando più che un ordine una eccezionale confusione, contradicendo a quello che è la vera santità nel divino.  La radicalizzazione può diventare così coesa che la mente si chiude e si fortifica nel proprio mondo irreale, pensando di essere associato al vero universale. L’effetto, per certi aspetti, è simile all’ateismo, ove gli appartenenti che non credendo ad alcun dio, si racchiudono in loro stessi divenendo, al loro dire, auto sufficienti ad interpretare i misteri della vita. Anche loro restano isolati, pur essendo la grazia a loro portata di mano. Concitati dalla materialità del bisogno di sopravvivere, seguono il perpetuarsi delle cose di prima necessità e si occupano per la loro conservazione che li protegge per l’esistenza. Dio diviene secondario, essendo che non risponde né risolve i loro problemi quando li richiedono. Vorrebbero un Dio a comando e se esistesse lo considererebbero responsabile dei mali nel mondo. La deità viene assunta e non attribuita, vale a dire, che l’ateo considera se steso dio essendo che tutte le forze della natura sono concentrate nella mente dell’uomo contro l’ammissione di Dio unico e Creatore che governa l’universo. La pienezza della deità sta al di fuori delle componenti metafisiche e razionali e dipende solo da sé stessa, poiché, da essa escono le componenti di percezione divina e li governa nel cuore dell’uomo, come la fede e il credo anche se l’operosità della vita distoglie l’uomo dalla fede e lo occupa tra il problema del male e della relazione tra teismo ed etica, tra conflitti religiosi e politeismo. La deità di Dio è la sola realtà che manifesta il potere del cambiamento alla visione del vero che sta oltre cortina e vede ogni cosa sulla razionalità dell’uomo e lo guida alla via verso la superiore dimensione dell’eterno splendore e della santità che sono le uniche realtà esistenti universali e inamovibili. Dio resta l’essere supremo e perfettissimo nella sua natura e nelle sue opere. Si avverte tale potenza quando l’uomo si converte, poiché la percezione diviene realtà di vita che muove lo spirito a colloquiare con Dio. 
Pace e fede nel Signore