venerdì, gennaio 19, 2018

ISACCO E ISMAELE



         Genesi 21:13 Anche del figlio di questa serva io farò una nazione, perché appartiene alla tua discendenza.  Isacco, figlio della promessa e Ismaele figlio della conciliazione[1] sono i capostipiti delle due grandi nazioni, che coprono gran parte della terra. Se Ismaele e Isacco, nella loro età giovanile, giocavano e scherzavano, oggi, i loro discendenti si combattono acerbamente per stabilire ognuno la propria supremazia sull’altro. Questo aspetto familiare, da quello che dovrebbe essere una pacifica convivenza, sfocia in risentimento di odio tra i due fratelli, che suscitando un senso di amarezza, spinge a scoprirne le ragioni. Consideriamo che la promessa sia la sostanza o il peditum di un contratto e la conciliazione sia la conclusione di esso. Se la sostanza, come il merito o l’oggetto del contratto, può fare esistere l’accordo, la conciliazione lo completa per la forma. L’accordo, possedendo solo la conciliazione il contratto è nullo, essendo mancante dell’oggetto della cosa. Se Ismaele è nato prima ed è conciliazione della promessa, è inutile il voler sostituire la promessa con la parte conciliante, poiché, annullerebbe il senso della promessa stessa. Sono pure nulli i tentativi di aggirare la forma con macchinazioni di pretesa di promessa, poiché, si svierebbe comunque l’oggetto iniziale della promessa e della conciliazione. Il persistere di vanificare l’oggetto della promessa con allusioni di priorità d’esistenza da parte della conciliazione, non fa che inquinare la corrispondenza originaria della promessa con la conciliazione. Se la promessa è compiuta nella forma con la conciliazione, rappresenta in tutte le sue parti la volontà di chi ha fatto la promessa. In questo modo, la promessa dovrebbe restare inamovibile, nel senso che non può cedere il posto alla conciliazione, poiché, non avrebbe significato d’esistenza né di collegamento verso chi ha espresso, per sua volontà, la promessa, che è Dio.  Tuttavia, i tentativi di obliterare questo concetto, specie, dalla parte conciliante continuano con efferatezza, causando morte dell’una parte contro l’altra e viceversa. Manca, allora, da una parte, la volontà di una seria e profonda interpretazione della promessa e ciò crea un senso di convinzione errato che persiste per ottenere il proprio diritto, anche se distorsivo. Questa tendenza, inavvedutamente, sta coinvolgendo il giudizio delle nazioni, che invece di soffermarsi sulla promessa si guarda solo la conciliazione, essendo illusoriamente presentata come l’oggetto della promessa. Questo effetto è alimentato dalla posizione sfavorevole della conciliazione, che chiedendo una posizione ugualitaria con l’oggetto della promessa, altro non fa, che inquinare la promessa. Per porre ogni cosa al proprio posto, ai fini di avere la promessa completa nel merito e nella forma, la conciliazione dovrebbe riconoscere la sua posizione subordinata alla promessa ed adeguarsi a sostenerla, poiché, senza la promessa la conciliazione non avrebbe senso. La promessa deve contenere la conciliazione, come propria, per dar vita a sé stessa, nell’operosità della sua esistenza. La conciliazione, come parte di essa, deve avere funzione vitale, ma non determinante del funzionamento della promessa. Le due nazioni che allude la genesi nella zona della Palestina dovrebbero rappresentante la conciliazione come supporto a quella che rappresenta la promessa, in un organico di collaborazione di intendimento e di forza. Allora si possono chiamare i figli di Abramo. Questa disamina un po' empirica, vuole riferirsi alla possibilità di promuovere lo stato di Israele, con doppia rappresentanza alternata, ma sempre con maggioranza israelita.               

Pace e fede nel Signore

 

 



[1]  Conciliazione: Sara non potendo avere figli, permise che Abramo potesse conoscere la schiava, Agar. Ma quando Agar stava per partorire, Sara si mise sotto di lei, conciliando l’ipotesi che stesse lei a partorire.